La Storia
Reiki è arrivato in Occidente dopo la seconda guerra mondiale essenzialmente per opera della Maestra Hawayo Takata iniziata da Chujiro Hayashi a sua volta allievo diretto di Mikao Usui (1865-1926).
Erano anni difficili per il mondo occidentale e bisognava rendere compatibile una storia di origine e contenuti prettamente orientali con un modo di vivere e di relazionarsi gli uni agli altri totalmente diverso e talvolta prevenuto.
Ho sempre trovato affascinante ed avvincente la narrazione della Takata che ovviamente prende il sapore del mito, della leggenda romantica di epoche passate.
Così Hawayo Takata narrava ai suoi studenti:
Mikao Usui era un Monaco Cristiano e come ogni domenica, si apprestava a officiare la regolare cerimonia nella cappella del collegio maschile di cui era anche il rettore. Uno degli studenti si alzò in piedi, chiese il permesso di parlare e quando gli fu accordato disse:
“Parlo a nome degli studenti che hanno concluso gli studi e lasceranno la scuola per andare nel mondo. Noi siamo giovani e abbiamo tutta la vita davanti a noi, ma abbiamo anche molti dubbi e timori e vorremmo delle rassicurazioni. Per anni abbiamo studiato in questo collegio e conosciamo la Bibbia, sappiamo che Gesù Cristo operava miracoli perché le persone credessero in lui. Ma noi non abbiamo mai assistito ad alcun miracolo e ci chiediamo che cosa significa credere in Dio. In tutti questi anni, Dottor Usui, Lei è stato il nostro insegnante e la nostra guida, conosciamo la Sua fede profonda nelle Sacre Scritture, ma noi non abbiamo la Sua fede. Per favore, la preghiamo di darci una dimostrazione che ciò che è scritto corrisponde a verità.”
Usui disse che effettivamente era un buon Cristiano e che aveva una assoluta fiducia che ciò che si diceva del Cristo fosse pura verità e che esistevano testimonianze storiche e opere teologiche che dimostravano le capacità taumaturgiche del Cristo e l’esistenza dei miracoli. Ma lo studente continuò: “Noi la onoriamo e la rispettiamo come nostro Maestro, ma tra poco noi saremo fuori di qui e ce la dovremo cavare da soli. Noi le chiediamo di farci vedere come si fa a restituire la vista a un cieco o a guarire un lebbroso o a resuscitare un morto.”
Usui rispose che questo non poteva farlo, perché nessuno glielo aveva insegnato. E lo studente riprese a parlare, questa volta con un velo di amarezza nella voce: “Noi la ringraziamo per tutto quello che ci ha insegnato, ma ora sappiamo che la Sua fede è una fede cieca e noi non vogliamo credere ciecamente a qualcosa, vogliamo fatti e dimostrazioni tangibili, vogliamo essere certi che quello che facciamo o diciamo esiste davvero. Lei ha ricevuto in dono questa fede assoluta e ha vissuto a lungo per rafforzarla, ma questo riguarda la Sua vita. Noi stiamo iniziando la nostra e abbiamo bisogno di una dimostrazione per continuare a credere in Lei e nei Suoi insegnamenti e avere un giorno la Sua stessa fede.”
Usui disse che non poteva mostrare alcuna guarigione in quel momento, e non volle proseguire oltre quella discussione. Ma le parole dello studente lo avevano profondamente colpito e dopo un lungo silenzio aggiunse: “Bene, dunque. Io non posso dimostrarvi nulla, in questo momento, ma un giorno ve lo proverò. E per fare questo fin da ora rassegno le mie dimissioni da ogni incarico e parto alla ricerca del segreto della guarigione. E quando lo troverò, ritornerò e ve ne darò una dimostrazione.”
E così Mikao Usui, non più giovanissimo, partì alla ricerca di come poter guarire gli ammalati e ridare la vista ai ciechi. Per sette anni approfondì i suoi studi sul Cristianesimo e sulla Bibbia ma non trovò alcuna spiegazione né alcuna formula sulla guarigione. Studiò altre Religioni e Filosofie e quando giunse al Buddismo scoprì che anche il Buddha conosceva l’arte di guarire i ciechi e i lebbrosi. Si recò dunque nei monasteri chiedendo ai monaci se fosse vero che nei Sutra si parlava del potere di guarire le malattie, ma la risposta era quasi sempre la stessa:
“Si, certo, è scritto che il Buddha guariva i lebbrosi appoggiando le mani sul loro corpo, ma noi monaci buddisti riteniamo che tutto dipende dalla mente e non possiamo dedicare molto tempo al corpo. Certo è importante mangiare e bere moderatamente e occuparsi di essere in salute e rispettosi della vita, ma quello che ci preme innanzi tutto è la salute dello Spirito. Per questo noi trascorriamo lunghe ore immobili nella meditazione o recitando preghiere, per trascendere il corpo e sviluppare le facoltà della mente.”
E ogni volta Usui faceva un inchino, ringraziava e andava nel monastero successivo. Trascorsero mesi e mesi di infruttuose ricerche, tutti sembravano troppo occupati con la mente per interessarsi del corpo, e Usui era molto depresso. Ma non mollava e ogni volta diceva a se stesso che evidentemente doveva esserci un altro posto in cui cercare.
E finalmente incontrò un Tempio Zen, fu accolto con benevolenza, gli fu accordato il permesso di leggere i Sutra e di partecipare alle sedute di meditazione con i monaci. Passarono altri tre anni ed era sempre più chiaro per Usui che le ricerche sarebbero durate ancora molto tempo. Egli comprese che molte trascrizioni erano originariamente scritte in cinese e per leggerle imparò il cinese, poi pensò che Buddha era nato in India e che sicuramente molte delle scritture non erano state ancora tradotte. E fu proprio in quei Sutra scritti nell’antica lingua sanscrita che Usui alla fine trovò la formula. Niente di complicato, semplice e chiara come due più due fa quattro e tre più tre fa sei. Ma la formula era stata scritta 2.500 anni prima. Doveva essere interpretata correttamente. Avrebbe funzionato o lo avrebbe ucciso?
Usui parlò con il monaco che dirigeva il monastero Zen: “Andrò sul monte Koriyama e mi sottoporrò alla prova per 21 giorni. Digiunerò e mediterò. Arrivato a questo punto non posso tirarmi indietro. Se il ventiduesimo giorno non sarò ritornato, mandate a cercare il mio corpo perché vorrà dire che sono morto.”
E partì. Scelse un luogo vicino a un corso d’acqua, si sedette sotto un grande cedro e iniziò la meditazione. Collocò davanti a sé ventun sassolini, e ogni giorno che passava ne toglieva uno. Egli sapeva che doveva aspettare che accadesse qualcosa, ma non sapeva cosa. E nel frattempo leggeva le scritture, recitava i Sutra, meditava e beveva solo acqua. Stava per sopraggiungere l’alba del ventunesimo giorno, la notte era ancora scura, senza luna, senza stelle. Quella era l’ultima meditazione.
Quando aprì gli occhi vide in lontananza una piccola luce tremolante, come la fiamma di una candela. La luce si avvicinava verso di lui, puntando diritta alla fronte. Ne ebbe paura, pensò che era ancora in tempo per evitarla o per chiudere gli occhi, ma sapeva che quella era la prova che stava aspettando e rimase a fissarla. In un attimo la luce lo colpì in mezzo alla fronte e l’impatto fu così forte che Usui cadde all’indietro. Quando cominciò a guardarsi intorno, ancora stordito dal colpo, vide milioni e milioni di sfere di luce agitarsi, muoversi, danzare davanti a lui. Avevano tutti i colori dell’arcobaleno, tutti e sette. Una grande luce apparve davanti a lui e come su uno schermo egli vide passare in lettere dorate ciò che aveva appreso quando leggeva il testo sanscrito. Le parole pulsavano davanti ai suoi occhi come dicendo: “Ricordati, Ricordati. E’ Così. Ricordati”.
E Usui non sentiva più dolore, né paura, né fame ne stanchezza e sentì che aveva ricevuto una benedizione, quel giorno. “Ora posso aprire gli occhi e gettare l’ultimo sasso” disse. Si alzò e riprendendo il cammino di ritorno si accorse che le sue gambe erano forti e i piedi stabili, come se avesse pranzato. “Questo è il primo miracolo!” pensò, “Mi sento sazio e riposato”.
Scendendo dalla montagna, inciampò in una roccia e si ferì un dito del piede, l’unghia era staccata, la ferita sanguinava e doleva molto. Istintivamente afferrò il dito con la mano e poco dopo sentì un profondo calore che entrava nella ferita. Il dolore scomparve e il sangue cessò di uscire. “Questo è il secondo miracolo”, pensò. E continuò il cammino.
Dopo un po’ incontrò una locanda e si fermò per riposare e per mangiare qualcosa. La figlia del padrone aveva un terribile mal di denti e da settimane piangeva dal dolore. Usui mise le mani sulle sue guance e in breve il male svanì. La ragazza incredula e felice saltava qua e là ringraziando e dicendo a tutta la famiglia che quello non era un monaco normale, ma che aveva qualcosa di magico nelle sue mani. Il padrone della locanda per sdebitarsi offrì una abbondante colazione al suo inatteso ospite, non nascondendo il timore che dopo tanti giorni di digiuno potesse arrecargli danno. Dopo essersi saziato Usui pensò che erano accaduti altri due miracoli: la ragazza non aveva più il mal di denti e lui non aveva fatto indigestione!
Verso sera fu di ritorno al monastero e come prima cosa voleva vedere il monaco per raccontargli ogni cosa, ma il monaco soffriva di artrite ed era in preda ad un violento attacco di mal di schiena. Usui andò a trovarlo nella sua piccola stanza e mentre raccontava teneva appoggiate le sue mani sulla schiena del povero malato. E disse del digiuno, della lunga attesa, della luce e di come era andata la giornata. Terminato il racconto Usui fece per congedarsi, ma il monaco dopo un attimo di stupore disse: “Il dolore non c’è più, potrò dormire finalmente! Mi sento meravigliosamente e pieno di energia! Così è questo che tu chiami Reiki! Domani parleremo ancora”. E così decisero che il modo migliore per usare il segreto della guarigione era portarlo dove più ce ne era bisogno, ovvero nei sobborghi di Kyoto, nel quartiere dei mendicanti. E infatti Usui vi si stabilì per diversi anni, perfezionando la tecnica della guarigione: scoprì che i giovani guarivano più in fretta, bastavano pochi giorni di trattamento, mentre i più vecchi necessitavano di settimane, a volte mesi di applicazioni di Reiki. Egli lavorava instancabilmente e poco a poco tutti o quasi avevano potuto guarire le loro malattie, recarsi in città, trovare un lavoro e diventare cittadini rispettabili.
Ma un brutto giorno, mentre Usui girava per il sobborgo per vedere quanto lavoro restava ancora da fare, incontrò una faccia conosciuta, e poi un’altra e un’altra ancora. Le persone che aveva curato e che avevano cambiato vita stavano ritornando indietro, volevano fare di nuovo i mendicanti. Usui ebbe un violento accesso di collera, vide il lavoro di anni vanificarsi in un attimo e gridava queste parole: “Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? Io non ho salvato una sola anima! Dunque avevano ragione che la mente è più importante del corpo. Ho dunque fallito, completamente fallito? Se avessi pensato prima di tutto a guarire il loro spirito e poi il corpo forse non sarebbe andata così”.
Ed era davvero deluso e amareggiato e se la prendeva con se stesso. E quando chiese ai mendicanti perché fossero tornati uno rispose: “Chiedere l’elemosina è un mestiere molto più facile di tutti quelli che ho trovato là fuori. E’ più facile trovare qualcosa da mangiare e un posto dove dormire che lavorare tutto il giorno. Fare il mendicante è un buon lavoro, mi riempio la pancia e non devo stressarmi più di tanto.” Le ultime parole di Usui furono: “Ingrati, siete avidi e ingrati, volete tutto per voi e non siete disposti a dare nulla in cambio: ecco perché siete di nuovo in mezzo al fango. I mendicanti restano mendicanti, siete solo capaci di chiedere, ma non conoscete gratitudine né generosità. Basta Reiki, basta mendicanti!”
Ma gli anni di lavoro nel quartiere non erano stati vani: ora egli sapeva che non bastava guarire il corpo, ma occorreva anche insegnare agli uomini a essere grati per la vita, a essere onesti e generosi, a ringraziare Dio per i doni di ogni giorno. E così nacquero i Princìpi di Reiki: solamente per oggi, non arrabbiarti. Solamente per oggi, non preoccuparti. Terremo conto di tutte le benedizioni e onoreremo i nostri genitori, i nostri insegnanti e i nostri vicini. Onoreremo il cibo, non lo sprecheremo, perché anche il cibo è un dono di Dio. Vivremo onestamente, ci guadagneremo da vivere in modo dignitoso e infine saremo pieni di amore e di compassione verso tutto ciò che ha vita.
Usui trascorse il resto della sua vita viaggiando a piedi per tutto il Giappone. Egli andava nei mercati affollati di gente e vagava su e giù con una lampada accesa in mano in pieno giorno. E quando qualcuno gli faceva notare, rispettosamente, poiché era un monaco conosciuto e stimato, che se cercava qualcosa non c’era bisogno di quella luce, perché era giorno e si vedeva benissimo, egli rispondeva: “Quello che sto cercando io non si vede alla luce del sole. Il mondo è pieno di gente triste, chiusa e arrabbiata. Io cerco qualcuno che abbia voglia di far luce nel suo cuore e guarire da ogni sofferenza, e rendere puri e forti la mente, il carattere e il corpo. Se vuoi ascoltare questa lezione, seguimi”.
Se approfondissimo la conoscenza delle più antiche religioni e pratiche olistiche orientali (Scintoismo, Buddismo, Taoismo) troveremmo in ciascuna di queste dei momenti, pratiche, cerimonie, simboli, che, in qualche modo, sono assimilabili a vari aspetti della pratica di Reiki.
Addirittura è possibile incontrare assonanze linguistiche e metodiche del Reiki nell’antica medicina tradizionale Araba. Questo a significare l’universalità e la reale efficacia dell’energia a cui si rifà la disciplina.
E’ quindi plausibile e ragionevole pensare che Reiki sia stato il risultato del percorso di crescita spirituale, di studio e di meditazione di un monaco particolarmente sensibile e illuminato.
Ad Usui dobbiamo la sincretizzazione del metodo, la messa a punto delle cerimonie di iniziazione, delle tecniche di armonizzazione ed equilibrio proprie di Reiki.
Molte sono le versioni, e le scoperte più o meno recenti e più o meno serie e credibili sulla sua storia e sulla sua vita e senza dubbio la più corretta e storicamente valida la dobbiamo al Maestro Frank Arjava Petter, ma in fondo riteniamo che ben povero sia il loro impatto, ammesso che ce ne sia uno, sul significato e sulla pratica di Reiki così come Usui, per il tramite dei Maestri iniziati nella sua discendenza, l’ha tramandata fino a noi.
Usui si è limitato, nella sua grande, illuminante umiltà, a mettere a punto il metodo, a metterlo in pratica su se stesso e su moltissime altre persone, a tramandarlo ai suoi iniziati.
Dopo la sua morte, naturalmente, inevitabilmente, Reiki ha cominciato a diffondersi nel mondo in modo esponenziale: i suoi allievi in Giappone hanno creato la “Usui Reiki Ryoho Gakkai“; la Takata, negli Stati Uniti e di là in tutto l’occidente, ha dato vita ad una diffusione e occidentalizzazione che ha portato Reiki ad essere oggi una disciplina praticata da milioni di persone, in migliaia di modi diversi, ma ciò fa naturalmente parte della normale evoluzione di Reiki come di ogni aspetto dell’umana vicenda.
La guarigione
Personalmente preferisco astenermi dal parlare di “guarigione”. E’ un termine che può essere fuorviante, può dare adito ad incomprensioni: inutile raccontare favole, qui “guarigione” non avviene per il solo tramite di un’energia, di una sostanza, di una manipolazione. Chi dice il contrario è assolutamente in malafede. A me, personalmente, piace parlare di armonizzazione, equilibrio, compimento.
Reiki è una disciplina olistica e come tale parte dall’assunto che l’essere umano sia costituito da un’inscindibile mescolanza di Anima e Corpo, Rei e Ki, Essenza Universale ed Essenza Individuale.
In questo dualismo unitario va ricercata la causa scatenante del sintomo: semplicemente (si fa per dire) un conflitto, una disarmonia, una vibrazione incoerente tra questi due elementi.
E’ nel perseverare irrisolto del sintomo, dovuto al fatto che l’individuo, spesso, per mille diversi motivi, non riesce a riconoscere questa disarmonia, questo conflitto, che va ricercata la vera e profonda causa scatenante della malattia.
Il sintomo viene trascurato, magari semplicemente attribuito al colpo di freddo piuttosto che all’incidente…
In realtà il conflitto preme per essere individuato e risolto e allora si esprime attraverso i nostri punti di maggiore sensibilità: per qualcuno una febbre, per altri un mal di gola, una bronchite, un problema intestinale, piuttosto che attraverso malattie molto più gravi, debilitanti, invalidanti; talvolta mortali.
La domanda è: Reiki guarisce?
O meglio, Reiki è in grado di provocare ciò che noi siamo abituati a considerare una guarigione, cioè la scomparsa di un sintomo?
E se guarisce lo fa meglio o in modo diverso dalla medicina allopatica?
Reiki non si pone mai, per nessuna ragione, in contrasto o in alternativa alla medicina.
Reiki non guarisce dalle malattie nel modo in cui noi siamo abituati a pensare alla guarigione.
Reiki agisce riportando l’individuo verso una situazione di armonia, di vibrazione coerente con se stesso, con l’Universo tutto, con i suoi simili.
Questo percorso ha sempre un effetto spettacolare anche sulla condizione fisica di ciascuno.
E’ però importante non dimenticare che Reiki non è né la medicina nè il medico.
Reiki è un mezzo di armonia, consapevolezza, pace con sé stessi e con gli altri: in due parole di crescita spirituale e personale.
Reiki non è artefice di nulla, Reiki è uno strumento. Solo uno strumento, sacro, splendido, meraviglioso, talvolta strabiliante. Ma uno strumento. Da usare con rispetto, con cura. Uno strumento da utilizzare in ogni istante della nostra vita, senza parsimonia ma sempre con grande gratitudine.
Attribuire a Reiki la capacità di guarire qualcuno da qualcosa sarebbe come comprare una bellissima bicicletta e pretendere che ci porti da sola in capo al mondo.
L’evoluzione spirituale
Usui ci ha aperto una grande autostrada verso la crescita, l’evoluzione, l’illuminazione.
Il cammino è lungo, entusiasmante, spesso gravoso, talvolta doloroso.
Egli ci ha insegnato che esistono tre diversi livelli di Reiki attraverso i quali l’allievo compie il suo personale e mai uguale percorso di evoluzione:
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Il Primo Livello (Shoden): il piano materiale.
A questo livello lo studente impara a riconoscere i propri bisogni materiali, a riconoscere ed esprimere senza remore tutte le proprie emozioni, siano esse comode o scomode, recenti od antiche. Nel primo livello si impara a vivere secondo i cinque principi dell’Imperatore Meiji che così saggiamente Usui ci tramanda come indispensabili strumenti per vivere in armonia con i nostri simili e con l’Universo nella sua totalità.
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Il Secondo Livello (Okuden): il piano spirituale.
In questa fase si impara a mettere in relazione i propri bisogni con il proprio Spirito, con la Coscienza Universale. Si impara a riconoscere la propria luce, la propria ombra. Si impara a mettersi in contatto con l’Energia Universale, l’Universo, Dio o comunque lo si chiami. E’ questo il livello in cui si prende consapevolezza della profonda differenza che esiste tra la mente ed il cuore. E’ il livello in cui si riconoscono i propri veri bisogni, quelli legati allo Spirito. E’ il livello in cui si impara a realizzare i propri desideri attraverso l’azione e non più attraverso il fare. E’ qui che impariamo ad integrare le nostre esperienze passate, a rielaborare in chiave positiva tutto quello che materialmente od energeticamente ci tiene legati, bloccati; tutto quello che ci impedisce di “volare”.
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Il Terzo Livello (Shinpiden): il Servizio.
Il livello del Maestro. A questo punto, dopo un impegnativo e luminoso processo di crescita, lo studente diventa egli stesso Maestro. Si impegna in prima persona ad assumersi la responsabilità di aiutare coloro che lo desiderano nel loro processo di crescita. Tutto questo senza mai dimenticare il suo compito primario che resta quello di non arrestare mai il proprio processo di evoluzione. Solo così potrà essere aperto e disponibile ai suoi allievi. Solo così potrà essere il solido ma al contempo duttile e mai invasivo supporto per la crescita di quelli che a lui si rivolgeranno.
I Principi di Reiki
Sono alcune, semplici, essenziali linee guida per vivere pienamente in armonia, benessere e consapevolezza.
Ricordarsi in ogni momento dei principi di Reiki può davvero cambiare radicalmente il nostro modo di affrontare tutto ciò che siamo e che viviamo.
La formula tramandata da Usui, recita tradizionalmente:
Solo per oggi…
Non essere arrabbiato
Non ti preoccupare
Sii grato
Lavora con impegno
Sii rispettoso verso gli altri
“Solo per oggi…”
non è una semplice introduzione, significa ricordarsi di vivere sempre la vita qui ed ora.
Il passato nella nostra esistenza è dato da esperienze che hanno lasciato un bagaglio. Questo può essere di gioia, indifferenza o sofferenza ma comunque l’evento causale non esiste più: è passato.
Il futuro probabilmente arriverà, ma non è affatto detto che si verificherà ciò che prevediamo nel modo in cui ce lo immaginiamo.
Perchè dunque spendere le nostre energie continuando a vivere nel passato (situazioni, relazioni, eventi) o nel futuro?
Tutto ciò solo per evitare di vivere l’unica vita reale: quella dell’attimo in cui sto scrivendo queste parole.
Solo per oggi significa fare tesoro delle esperienze vissute, fare progetti meravigliosi ma lavorare ora per realizzarli.
“Non essere arrabbiato”
cioè fai in modo che la rabbia non accechi la tua esistenza e le tue relazioni.
Essere arrabbiati con tutto e con tutti ha il solo senso di sciupare il dono che l’Universo ci ha fatto donandoci questa esistenza.
Nella crescita in Reiki impariamo a sciogliere la rabbia: impariamo a risolvere gli eventi che generano questa emozione trasformandoli in nuove opportunità di gioia e di evoluzione spirituale e personale.
Impariamo a trasformare le avversità in momenti di armonia, felicità e benessere, con decisione, forza e assoluto rispetto per noi stessi e per tutto ciò che ci circonda.
“Sii grato”
non dimenticare mai che tutto ciò che arriva nell’esistenza umana (situazioni, persone, cose, gioie, dolori ecc) è un dono meraviglioso che ha solo ed esclusivamente la funzione di aiutare ciascuno a percorrere la propria strada.
Vivere il proprio destino significa crescere, evolvere verso uno stato di sempre maggiore consapevolezza ed armonia fino ad arrivare, per pochissimi, alla vera e propria Illuminazione.
Sii grato significa anche non disperarti se ciò che ti aspettavi non si è verificato.
Dio non esaudisce i nostri desideri voluttuari ed egoici, Egli alimenta la nostra crescita, mantiene viva la nostra Luce interiore e ci dona solo ciò che serve a questo fine.
Da qui la necessità di rammentare la gratitudine in ogni istante.
“Lavora con impegno”
metti tutto ciò che sei nel lavoro che scegli, fallo con passione ed onestà assoluta, pretendi il giusto compenso.
Impariamo prima di tutto a riconoscere ed a coltivare i nosti talenti.
Ricordiamo che ogni volta che lo facciamo, ogni volta che amore, passione ed onestà guideranno il nostro lavoro arriverà tutto il denaro che ci occorre.
Ogni passo in questa direzione è un passo verso un sorriso, un abbraccio, un passo avanti verso il nostro paradiso in terra.
“Sii rispettoso verso gli altri”
ricorda che tutti coloro che incrociano la tua esistenza, nel bene e nel male, sono per te Maestri di vita.
Rispettare tutti, sempre ed in ogni situazione significa riconoscere la propria grandezza ed avere il coraggio di specchiarsi in quella altrui.
Mai rinunciare al rispetto che ci è dovuto, mai dimenticare di dovere rispetto a tutto ciò che ci circonda.
Significa essere se stessi fino in fondo, senza paura di guardarsi dentro nè di guardare negli occhi chi ci sta di fronte.
Significa essere uomini e donne sani, compiuti e in armonia con tutto l’Universo .
Il processo di crescita spirituale è inesorabilmente fonte di consapevolezza, benessere, felicità. E’ il cammino attraverso il quale, uno ad uno, con pazienza e determinazione si va a sciogliere tutti i “blocchi” energetici che abbiamo accumulato fino al momento in cui abbiamo scelto di prendere Reiki. E’ il cammino che, di pari passo, ci dà la giusta consapevolezza per evitare di generare nuovi devastanti blocchi al fluire dell’Energia e della Vita. E’ il vero ed unico motore, quindi, di un benessere e di una felicità reale, radicata, duratura. Non legata al tempo, non legata più ai piccoli grandi eventi (piacevoli o meno che siano) della vita, ma direttamente proporzionale al livello di armonia che riusciamo a creare nella nostra Esistenza.